Sühne by Stefano Bigazzi IT/EN

Il testo critico di Stefano Bigazzi per la mostra Segrete tracce di memoria a cura di Virginia Monteverde presso la Torre Garibaldina delle prigioni di palazzo Ducale di Genova, dal 24 gennaio al 9 febbraio 2019.

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Può apparire ovvio, se si preferisce scontato, che l’arte incroci inevitabilmente qualsiasi principio di comunicazione. Ha essa certo intenti documentaristici, celebrativi e didattici, dai risvolti tanto politici quanto religiosi. Nella storia dell’arte si può apprendere come la pittura e la scultura siano linguaggio visivo comprensibile anche agli analfabeti, spiegando per immagini concetti basilari, dogmi, prescrizioni eccetera. Se tutto ciò può apparire ovvio sarebbe bene considerare l’eventualità che una simile ovvietà scompaia. Che sia, anzi, cancellata, preferendo una comunicazione semplificata in cui erodere in continuazione concetti basilari, dogmi, prescrizioni e anche valori, sentimenti, conoscenze.

Così questa mostra – più di una mostra – è come ogni evento della cultura un atto coraggiosamente eversivo e civile nello stesso tempo. L’arte recupera la parola assente, parla per chi non ha voce. E per coloro ai quali la voce in un modo o nell’altro è stata ed è negata.

La cancellazione della memoria – di qualsiasi memoria – è operazione diffusa in questa società. La cancellazione di valori (la libertà, la rappresentatività, la tolleranza, il rispetto) procede di pari passo alla riscrittura della Storia. Pertanto l’ovvietà rischia di non essere tale. Pertanto gli artisti hanno il diritto e il dovere di dare voce alla propria arte così come l’arte daràvoce a chi non l’ha.

ILARIA MARGUTTI

La mitologia classica assegna alle Moire il compito di sviluppare – anzi dipanare – la vita di ciascun individuo. Una tesse, un’altra ordisce, una terza recide il filo. È un termine di paragone rovesciato da Ilaria Margutti con “Sühne”, letteralmente “espiazione”. L’autrice scrive – utilizzando non una penna bensì ago e filo – un memoriale, ricamandolo su una antica tela. In un silenzio sospeso si consuma la compilazione di questo repertorio di vite da vivere, in una sorta di documento di immortalità (ecco il distacco dall’accostamento al precedente mitologico: le Moire disponevano del filo dell’esistenza senza che gli dei potessero interferire, qui l’artista prescinde da qualsiasi visione retroterrena per restituire a chi ha vissuto un’esistenza appesa al filo), perché continuamente perfettibile: “L’opera in sé – scrive Margutti – è un diario ricamato amanosu un lenzuolo. Raccoglie scritti, poesie, pensieri e riflessioni su un tema in particolare: una fioritura estrema che si espande superando il dolore”. Ecco la novità, scegliere di celebrare il presente come proiezione del futuro, cogliere istanze positive anche nelle situazioni di apparente disperazione (cita tra le fonti il diario di Etty Hillesum, giovane ebrea olandese detenuta e morta nel 1943 ad Auschwitz: “Un inno alla vita… una metamorfosi che fuoriesce dall’anima, vissuta tutta interiormente, per poi restituirla al mondo come una ascensione di amore e di compassione per gli altri e per se stessa) che tali non sono in virtù di una dichiarata volontà di vivere, intellettualmente e spiritualmente superiore al mero istinto di sopravvivenza.

Un’operazione lungo il tempo (la memoria e la visione profetica attraverso il racconto) che ha nel ricamo una sua centralità: pratica, questa – nell’arte vale la pena citare Alighiero Boetti – che porta con sé l’idea di abbellimento, dunque pratica estetica, ma sottende un concetto di riparazione, così come si nasconde il rammendo dopo lo strappo, in definitiva, appunto, espiazione.

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by Stefano Bigazzi

In classical mythology the Moirae had task of developing – or rather disentangling – the life of each individual. One spun the thread, another wove it and the third cut it.

this reference is turned on its head by Ilaria Margutti in her “Sühne”, literally “atonement”.

Using a needle and thread, as opposed to a pen, the author write a memoir, embroidering it on an old canvas. In a suspended silence, a repertoire of lives is compiled, forming a kind of document of immortality, given that it is continually perfectible.

In this respect she departs from the parallel with the mythological precedent.

The Moirae worked the thread of existence without the gods being able to interfere; here the artist sets aside any non-terrestrial vision to give something back to those who have lived an existence hanging from a thread. As Margutti writes, “the work in itself is a diary embroidered by hand on a sheet. It gathers together thoughts and reflections on one them in particular: the extreme flowering that expands to overcome pain”.

The novelty lies in opting to celebrate the present as a projection of the future, identifying the positive even in situations of apparent despair ( one of the sources she mentions is the diary of Etty Hillesum, a young Dutch Jew who was held in Auschwitz and killed there in 1943: “A hymn to life … a metamorphosis that issues from the soul lived completely inwardly, an which is then returned to the world as an ascension of love and compassion for others and for oneself”) which stop being desperate by virtue of a declared will to live that is intellectually and spiritually superior to the mere survival instinct.

This operation across time ( memory and prophetic vision through story-telling) has embroidery at its centre: this practice – in the sphere of art one might cite Alighiero Boetti – implies the idea of embellishment, and is thus an aesthetic practice, but underlying it is a concept of reparation, just like hiding the mend after the tear – in short, atonement.